IO TI SALVERO’!
“ La sindrome
della crocerossina nei confronti di DYLAN DOG”
Mario Uccella ed io non
vogliamo offendere nessuno o essere offesi da qualcuno, ma ci ponevamo il
problema che se per salvare un personaggio storico come DYLAN DOG bastasse fargli dare del “VOI” fascista alle persone, dotarsi di telefonino o qualunque cosa di minimamente ammiccante nei confronti
di un pubblico molto giovane che non legge (SIGH!) più fumetti.
Questo
post vorrebbe essere un appello a tutti gli appassionati, che per un semplice
giorno potranno essere i supervisori e compilare la loro ricetta per rinnovare
il famoso personaggio… Un po’ come se una ragazza innamorata di un
tossicodipendente, convinta di poterlo salvare, diventi essa stessa una
drogata.
Aspetto
le vostre idee, non possono essere peggiori di quelle ufficiali che ho letto
finora in Rete nei forum e nelle interviste dedicate.
1) RICETTA A BASSO COSTO DI PINO RINALDI:
Pino
Rinaldi è la persona meno indicata per trovare soluzioni in merito, non avendo
l’ottica bonelliana sul fumetto. Per me il fumetto non deve essere succube ad
altri media, tipo film, telefilm e libri, essendo già esso uno di prima
grandezza.
I
personaggi della bonelli sono sempre simili a se stessi, a differenza di quelli
americani che ogni quinquennio devono rinnovarsi, per il naturale ricambio tra
le fila dei lettori. Da noi la collezione viene continuata fino alla morte del
collezionista (di italica rimembranza: “O
si fa Tex o si muore!”), magari senza nemmeno leggerli, solo per abitudine.
Se
il personaggio non rimanesse sempre uguale a se stesso, il lettore ottuagenario
potrebbe non riconoscerlo e non acquistare più l’albo. Oppure, indicandolo alla
badante rumena o extracomunitaria, dirle “Vammi a comprare TEX!” e lei: “Ma
com’è fatto?”, e riempiendosi gli occhi di lacrime, esclama: “Una camicia gialla (una polo) con blue-jeans,
fazzoletto al collo nero e cappellaccio da bovaro!”, augurandosi che
la povera donna non sbagli con SUPERMAN
o l’UOMO-RAGNO.
Solo in una realtà alternativa mi
verrebbe chiesto un parere per rinnovare il personaggio, e solo in questa
realtà alternativa potrei rispondere in questo modo:
Basta
con tutti i luoghi comuni e i clichè di un certo fumetto che ha fatto la
propria epoca, ma che ora appare vecchio per non dire stantio… Il personaggio dovrebbe
poter recitare come ogni essere umano. Sarebbe più facile identificarsi in un
essere umano piuttosto che in un robot. La giustificazione che l’eroe ne ha
viste tante dal non stupirsi più di nulla, suona di un’ingenuità narrativa degna
degli anni sessanta/settanta. Oggi come oggi, nel XXI° secolo, con un pubblico
svezzato e smaliziato da film, telefilm
e racconti vari, videogames sempre più realistici e violenti, non funzionerebbe…
Basta
con “I MOSTRI SIAMO NOI”,
problematica adolescenziale della generazione di Sclavi. Da allora sono passati troppi anni e troppi se ne vedono a
tutte le ore in tv come in Rete.
Basta
con la donna portata a letto immancabilmente a ogni numero. A parte trovarlo
offensivo nei riguardi del gentil sesso, lui non avrebbe le “physique du role”. Avesse le sembianze di Brad Pitt e
di Robert Redford da giovane messe insieme, ci potrebbe anche stare, ma ha
quelle di Rupert Everett, un belloccio manco troppo sexy e oltretutto gay
dichiarato! Perciò o lo portiamo in una dimensione più umana o facciamo fare outing
anche a DYD… almeno nel fumetto potremmo dimostrare di non avere pregiudizi sessuali,
fornendo anche una spiegazione psicologica del bisogno compulsivo di portarsi a
letto una donna per albo.
Basta
con “GROUCHO” e le stupide spalle
bonelliane, retaggio del fumetto italiano anni cinquanta. Mi piacerebbe farlo
morire (nessuno piangerebbe, essendo un personaggio senza spessore), ma
troverei più comodo fargli vincere un gratta e vinci da un paio di miliardi di
sterline, tagliarsi i capelli ed i baffi per andare a vivere a New York e
mettere su un musical di successo a Broadway e (perché no?) un giro
d’escort d’alto bordo, come risposta
all’invidia mal celata nei confronti dell’eroe per le conquiste sin troppo
facili.
Le
storie sarebbero autoconclusive nei limiti di un solo albo, tranne casi
rarissimi in cui si potrebbero spalmare su due albi, per raccontare davvero
qualcosa in più e non solo per allungare il brodo.
Mostri realmente mostruosi, cattivissimi, con i
quali far combattere il nostro eroe senza fargli perdere tempo in pallosissime
discussioni che occupano pagine su pagine al solo scopo di raggiungere la
foliazione minima. Basta con i doppi e tripli finali o i finali che non dicono
niente, vecchi e abusati, o addirittura i finali lasciati all’interpretazione e
al buon cuore dei lettori. Lettore che paga lo sceneggiatore per una storia che
abbia, nel bene e nel male, un finale quale che sia.
Immaginatevi dal giornalaio con la copia dell’albo
in mano a dire: “Tenga i cinquantadue
centesimi di resto sui €2,90… manca il finale!”
Basta
col cattivo, parente stretto della persona che si rivolge al nostro eroe per
coinvolgerlo nelle vicende narrate. Non se ne può più dai tempi di Caino ed
Abele.
Un
tizio che pretende di combattere gli incubi senza essere uno psicologo o
psicoterapeuta, dovrebbe essere un po’ più prestante e coraggioso, non uno che
per andare a comprare il giornale prende la macchina e lo stenderesti a terra con
uno starnuto.
Se
fossi il supervisore di DYD, in una realtà alternativa, apporterei i
cambiamenti suddetti non già alla serie regolare, ma in un’altra, dal titolo
improbabile di: ”DYLAN DOG altrimenti…”,
forse con periodicità trimestrale come una sorta di “WHAT IF” o “ELSEWORLDS” .
Una collana in cui si testerebbe il gradimento del lettore sui cambiamenti e
non per proporre la solita sbobba con il personaggio che ripropone se stesso in
ambiti e spazi temporali diversi. Si potrebbe avere un personaggio
completamente rinnovato senza colpo ferire, “altrimenti” si chiude.
Partirei
con l’apertura della sua agenzia investigativa, magari scopriremmo che Dog è
uno pseudonimo usato invece del cognome vero, scaturito dal suo innegabile
fiuto per mettersi nei guai e scovare presenze inquietanti… Il vero cognome sarà
una sorta d’inside-joke, che non scopriremo mai, un po’ come il nome di
battesimo del tenente Colombo o
quello del commissario Maigret che
George Simenon rivelò solo moltissimi anni dopo i suoi primi romanzi di
successo.
Dylan
imparerà a diventare investigatore dell’incubo sbagliando e sperimentando sulla
sua pelle il fallimento. Lo vedrei abbandonato da una ex (moglie o fidanzata,
fate vobis) per non riuscire, nei primi tempi della loro breve unione, a
portare uno stipendio adeguato per vivere. Forse i soldi li farà e forse no, ma
con il tempo (quando la “scassapalle” se ne sarà andata), riuscendo a risolvere
casi per ricchi clienti. Nessuno esclude che l’ex moglie o fidanzata, possa
tornare per avere il ben servito dal nostro.
Niente
ex poliziotto, ex alcolista o situazioni trite e ritrite. Avrei anche un’idea
sulle sue origini, ma non vorrei fare dello spoiler. Niente poliziotti vicini
alla pensione che gli passano informazioni, in funzione di “DEUS EX MACHINA”, usato abbondantemente
dal teatro greco.
In
questa serie “ALTRIMENTI…” perfezionerei
di più la parte grafica, dalle copertine poco evocative per una serie horror,
al non accostare disegnatori troppo simili tra loro, e prediligendo una gabbia
più articolata a quella canonica della Bonelli. Articolata ma non confusionaria,
come qualche disinformato crede.
Con
affetto dal Vs. simpatico Pino Rinaldi di quartiere di una realtà alternativa.
2) RICETTA D'ALTA CLASSE DI MARIO UCCELLA:
Partiamo
da un presupposto.
Dylan
Dog (d’ora in avanti DYD) quando uscì ebbe l’effetto di una bomba atomica
gettata in uno stagno, quello del fumetto italiano, sino allora vittima, si
diceva, dell’ennesima crisi d’idee e nuovi personaggi. Certo, vi era stato
l’esperimento “Orient Express”, rivista per la quale la banda orchestrata da
Luigi Bernardi aveva cercato di mettere insieme idee per nuovi personaggi,
“rigorosamente forti, con sapore” come recitava uno dei loro ultimi articoli.
Solo il sommo Magnus era riuscito nell’intento, resuscitando il suo
Sconosciuto, e dando nuova linfa a un filone ormai secco. Persino lo stesso Ken
Parker pareva destinato a vivere tra quelle pagine una seconda giovinezza dopo
i successi più di critica che di pubblico, e invece…
In più,
l’horror non era mai stato sino a quel momento un genere popolare né capace di
vendere migliaia di copie. Figuriamoci essere protagonista di un prodotto
seriale. Bonelli invece, spinto dal successo arriso alla creatura di Alfredo Castelli,
volle provare. E, come gli capitava in quel periodo, seppe trasformare l’idea
in oro.
Dopo,
tutto fu diverso, tutti vollero la loro libbra di carne e cercarono di
imitarlo, senza riuscirvi. Nemmeno lo stesso editore, forse, si aspettava un
successo del genere, tant’è che vi arrivò abbastanza impreparato e fu costretto
a correre ai ripari, ristampando il primo albo a poche settimane dalla sua
uscita.
Chi
scrive è uno di quelli che leggeva allora ogni nuova proposta proveniente da
via Buonarroti, felice possessore del “mitico” numero 1, rivenduto senza
rimpianti anni dopo a un prezzo che qualcuno di voi considererebbe folle. Uno
di quelli che si appassionò al personaggio sino alla sua venticinquesima
uscita, salvo poi abbandonarlo quando cominciò a rendersi conto che persino il
“rivoluzionario” personaggio creato da Tiziano Sclavi soffriva dell’inevitabile
sindrome da successo che pare avvolgere tutti i personaggi dell’ex Daim Press,
da un certo punto in avanti, esaurita: il sedersi sugli allori, il non voler
scontentare il pubblico affezionato e collezionista, quello che ti segue per
anni o addirittura decenni, incapace di apprezzare i cambiamenti profondi nel
modo di essere e di comportarsi degli eroi bonelliani. Al pari di Ken Parker,
DYD portò avanti un discorso di rottura, conquistando in breve tempo un
pubblico affezionato composto (caso più unico che raro) da lettori maschi e
femmine, con queste ultime addirittura per qualche tempo in numero maggiore dei
primi anche a causa dell’aspetto dell’eroe, ricalcato sulle fattezze del bello
e dannato Rupert Everett, scopertosi poi anni dopo essere addirittura gay.
Altro che tombeur de femme! Forse la rivoluzione maggiore Bonelli l’avrebbe
fatta assegnando al nostro il primo caso di outing della storia del fumetto,
rivelandoci magari che la sua convivenza more-uxorio con il sosia di Groucho
Marx non era tanto casuale e gettando ombre rosa sulle altre coppie di fatto
storiche della casa editrice, da Tex e Carson, Zagor e Cico, Martin Mystére e
Java e via andare…
La crisi
generale in cui viviamo non poteva lasciare indifferenti le case editrici
nostrane, da anni impegnate in una lotta per la sopravvivenza editoriale che ha
già lasciato sul terreno molte vittime, anche innocenti. Ecco perché, anche per
la diffusione di certe notizie non confermate, come un crollo verticale nelle
vendite per tutte le collane bonelliane, che aveva già costretto l’editrice a
diradare le uscite di serie come Martin Mystére e Magico Vento, chiuderne altre
e cederle in sub-appalto, come Nick Raider e persino (orrore!) il “figlio
putativo” del patron Sergio, Mister No, fatto salvo Tex che è un fenomeno
paranormale trasmesso di generazione in generazione, da nonno a nipote et
ultra, l’idea di Sclavi di riprendere in mano la sua creatura per cercare di
riportarlo agli antichi fasti, coinvolgendo le nuove generazioni di lettori,
pare non aver colto nessuno di sorpresa. Immediatamente dopo l’annuncio, sono
partite le speculazioni più assurde (chiude, non chiude, lo riscrivono da cima
a fondo), come se fosse una cosa facile far ripartire un personaggio ormai
consolidato nell’immaginario collettivo, in una sorta di ritorno alle origini,
come uno dei periodici lifting a uso dei nuovi lettori ai quali ci hanno
abituati i comic books anglosassoni, che ogni lustro devono rimettersi a nuovo
per attrarre nuovo pubblico, spesso cambiando tutto per non cambiare nulla.
Rimane
poi da dire che nel caso di specie (che può tranquillamente estendersi a tutti
i prodotti della Bonelli) è difficilissimo accostarsi a un personaggio che ha
dei cliché anche rigidi da rispettarsi per trovare il modo di raccontarlo in
maniera nuova o comunque alternativa.
Come
fare dunque per “rivoluzionare” Dylan Dog (e, per estensione, uno qualsiasi dei
personaggi creati da Gianluigi e Sergio prima e dai loro validissimi
collaboratori poi)?
Spesso
può essere sufficiente una trovata alla Kevin Smith, quando lo scrittore e
regista riportò in vita Oliver Queen/Freccia Verde con un semplice escamotage
al quale sino ad allora nessuno aveva pensato (una particella elementare con
sufficiente dna del personaggio si era letteralmente depositata sul costume di
Hal Jordan, all’epoca il cattivissimo Parallax, e da questa il vecchio
irascibile arciere fu riportato in vita clonandolo alla velocità della luce).
Non
serve nemmeno portarlo nell’epoca moderna, cancellando la forma arcaica del
“voi” con cui si rivolge ai comprimari delle sue storie, o facendogli usare un
pc con un programma word in luogo della penna d’oca per fermare sulla carta i
suoi pensieri. E poi, perché dovrebbe? Perché dovrebbe usare un telefonino e
magari rinunciare a Groucho che nei momenti topici delle storie, lancia una
pistola inevitabilmente scarica? Perché pensare che il suo non usare gli
ammenicoli della tecnologia più recente lo faccia essere per forza sembrare un
residuo d’altri tempi? Il comunicare via telefono a ghiera e non tramite
facebook o whatsapp lo rende per forza impopolare o non è trasversale se
preferisce costruire il suo galeone piuttosto che sconfiggere nerd in Rete
attraverso l’uso di una consolle per videogiochi in 3D? Non guarda la tv e non
si nutre di reality show, non legge manga giapponesi, non pontifica sul nulla
nei forum, non assume atteggiamenti da superstar dell’orrore, dicendo al
momento del suo arrivo sul luogo “Fermi tutti! Sono Dylan Dog, ci penso io”.
Questo lo rende meno popolare? Sarebbe stato meglio se in luogo di Groucho ci
fosse stato Gnaghi, il compare muto di Francesco Dellamore, prototipo mai
realizzato sino in fondo dell’indagatore dell’incubo e che DYD avesse avuto le
fattezze del ballerino spagnolo Antonio Gades in luogo di quelle che hanno
contribuito al suo successo?
Fermo
restando che DYD è una serie più “realistica”, comunque popolare, e deve gioco forza
rivolgersi a un pubblico più vasto, ripartirei proprio da quest’ultimo aspetto:
il lettore.
Che cosa
vuole il lettore diciamo “medio” di DYD?
Vuole il
terrore, vuole le storie di mostri, vuole appassionarsi alle gesta di vampiri,
licantropi, serial killer efferati stile Jack lo squartatore ed emuli moderni, vuole
che il sangue torni a scorrere copioso. Vuole il gore, lo splatter e magari
qualche incursione in quello che sino a un paio d’anni fa poteva essere un
filone alternativo e interessante chiamato “torture” o “gore” porn, rappresentato
da film di genere come la saga di “Saw” e di “Hostel”. Vuole che DYD indaghi
l’incubo in tutte le sue forme e, a giudicare da quello che si legge in Rete,
anche nei forum, i lettori di lungo corso rimpiangono soprattutto storie come
“Memorie dall’invisibile” o “Johnny Freak”. Non vuole discorsi tipo “i mostri
siamo noi” ai quali Sclavi li ha abituati nel corso degli anni, complice la sua
idiosincrasia per i rapporti interpersonali e con tutto il genere umano. I
lettori di DYD sono cresciuti. Gli basta navigare la Rete per comprendere che
tra le pagine di un fumetto si agitano mostri infinitamente più risibili di
quelli che quotidianamente popolano il mondo reale.
Il
cinema horror esiste sin dall’inizio della settima arte, con capolavori del
cinema espressionistico come il “Nosferatu” di Murnau o “Il gabinetto del
dottor Caligari”; esiste quindi un serbatoio sterminato di storie al quale attingere.
Per non parlare della letteratura gotica, che ha in Lovecraft e Allan Poe due
giganti. Dovendo immaginare un nuovo pantheon di nemici o incubi per DYD, mi
rifarei ai maestri del cinema horror italiano degli anni Sessanta/Settanta, da
Mario Bava a Dario Argento, che hanno ridefinito un genere per inventarne
letteralmente un altro che, come i western di Sergio Leone, sarebbe stato poi
ribattezzato “all’italiana”. Negli ultimi anni, si diceva del genere “torture
porn”, filone estremo che ha spinto il pedale sull’effettaccio non
necessariamente gratuito, film in cui il sangue scorre a fiumi e nei quali si è
(volutamente?) azzerato o quasi l’introspezione psicologica dei personaggi, che
ha filiato una serialità in genere nettamente inferiore ai film capostipite
come il bellissimo “Martyrs”. Diversa invece la strada intrapresa oltreoceano dal
musicista e regista Rob Zombie che dopo aver rivisitato il genere con “La casa
dei mille corpi” e “La casa del diavolo” ha riscritto da cima a fondo la saga
del Mike Myers, efferato protagonista
della serie “Halloween” di John Carpenter, senza tradirne lo spirito e approfondendo
la psicologia dei protagonisti, cosa che nella trilogia originale forse mancava,
rimanendo comunque fedele allo spirito irriverente del regista di “Distretto
13” e “Fuga da New York”. Pollice verso per gli esperimenti nostrani, laddove
non si faccia riferimento al filone esoterico e misterico, infarcito anche di
elementi horror, e letteralmente inventato da Pupi Avati con i fondamentali
“Zeder” e “La casa dalle finestre che ridono” o, in misura minore, nel
bellissimo sceneggiato televisivo “Voci notturne”, un racconto che non
sfigurerebbe interpretato dai nostri Martin e Dylan...
Discorso
a parte merita la trilogia diabolica argentiana, iniziata con “Suspiria” e
“Inferno”, due capolavori assoluti, e conclusa nel peggiore dei modi con l’infame
“La terza madre”.
Eliminerei
l’elemento “arcinemesi”, il più cattivo dei cattivi, che in ogni albo e serie
Bonelli DEVE per forza di cosa tornare ciclicamente a tormentare il
protagonista. La cosa ha un suo senso nelle storie dei supereroi, dove il super
villain è spesso la causa dell’esistenza dell’eroe e viceversa in un continuo
gioco di specchi e di rimandi. Quindi addio a Xabaras, a Morgana, madre di DYD
e alle implicazioni edipiche che comportano. Cercherei di creare un nuovo gruppo
di nemici, diversi e che magari si rivelano più tosti del solito nell’essere
eliminati, tipo una setta satanica o para-massonica (il Regno Unito è la patria
della Massoneria), infiltrata sin nei più alti livelli istituzionali della
monarchia costituzionale inglese e in grado di intralciare con modi “puliti” e
altri no, il lavoro del nostro e che ritornasse periodicamente a intralciarne
vita e lavoro. Ridurrei al minimo la parte “parlata”, vecchio e persistente
punto dolente delle serie Bonelli, in favore di una maggiore dose d’azione. Le
spiegazioni possono essere anche date dopo o non date affatto. Questo
ridurrebbe le storie alla durata delle canoniche 94 pagine senza storie doppie
che, a mio parere, finiscono per distrarre il lettore che vuole godere di un
inizio e di una fine credibili e magari non da attendere un mese per sapere
come va a finire. Farei in modo da impedire a DYD di portarsi a letto tutte le
donne che sistematicamente bussano alla sua porta e lo renderei meno indigesto
anche alle forze dell’ordine con Scotland Yard che in casi del tutto
eccezionali, può ricorrere anche ai suoi servigi (l’utilizzo dei medium e/o dei
sensitivi è accettato naturalmente nei casi di rapimento dalla polizia
americana, perché DYD non potrebbe essere consultato dalla polizia londinese
per i casi “insoliti”, alla stregua di uno Sherlock Holmes moderno?).
Eliminerei i doppi e tripli finali, tipici di certi film horror scadenti e che
ormai hanno fatto il loro tempo. Introdurrei il concetto di continuity, connettendo
tutte le storie passate e presenti, facendo tornare personaggi ora dimenticati
o accantonati, mal sfruttati o addirittura ridotte a figurine sullo sfondo.
Farei in modo di eliminare lo schema “avvenimento delittuoso-personaggio che
interpella DYD-intervento del nostro-spiegazione plausibile o meno
dell’accaduto-lotta finale con redde rationem-finalissimo/doppio o triplo
finale”, sul quale si basano TUTTE le serie Bonelli, nessuna esclusa. Farei in
modo che si comprasse un cappotto o almeno un giubbotto con il quale coprirsi durante
l’inverno e non mi dispiacerebbe vederlo in maniche di camicia in estate mentre
scorazza con il maggiolino versione decapottabile per le campagne inglesi.
Dopotutto abbiamo a che fare con un essere umano, una persona con gusti
personali che possono cambiare nel tempo e chissà, spingerlo a cambiare persino
look, tanto resterebbe DYD anche senza le Clark’s e la camicia rossa…
Groucho
e Bloch sono personaggi che non eliminerei del tutto, anche perché protagonisti
della serie sin dall’inizio, e a mio parere non sono stati sfruttati a fondo
nelle loro potenzialità (ad esempio, ho sempre creduto che Groucho fosse un
matto incontrato da DYD a un determinato momento della sua esistenza, quando
l’eroe è finito in manicomio per motivi legati alla sua attività e che sia
indispensabile al protagonista per tenerlo ancorato alla realtà, una sorta di
zattera per la sua sanità mentale). A Bloch scrollerei di dosso la sua sindrome
da dottor Watson e lo renderei magari un po’ più duro anche con il suo “old
boy” che ha raggiunto da un bel po’ l’età dello svezzamento. Il poliziotto
umano-troppo-umano che ne ha viste tante ma non abbastanza da necessitare
sempre e comunque di una buona dose di antiemetici, ha fatto il suo tempo. Lo
promuoverei e farei in modo di affiancare a DYD una squadra specializzata in
mostri e affini, magari con a capo una figura femminile con la quale creare un
perenne stato di tensione sessuale destinata a non sfociare mai in baci,
carezze e sdolcinature da adolescenti. Un personaggio che sappia guadagnarsi le
luci della ribalta senza necessariamente pestare i piedi al protagonista o
magari in grado di generare uno spin-off all’americana per se stessa e i suoi
colleghi, come hanno fatto Liz Sherman e i compagni di Hellboy, il personaggio
creato da Mike Mignola. Una donna tosta, capace di stargli affianco senza
subirne per forza di cose il fascino e capace in alcune occasioni di togliergli
pure le castagne dal fuoco, magari a colpi di pistola.
Carica. Mario.
Ripeto il nostro è solo un gioco che non vuole essere offensivo verso nessuno... anzi è un atto di amore nei confronti del personaggio e della casa editrice che lo edita... sarebbe simpatico se anche altre persone dessero la loro ricetta personale... Grazie.